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Oh God, they’re Back! (Godspeed You! Black Emperor @ Estragon, Bologna 26/01/2011)

30 gennaio 2011

Se qualcuno mi chiedesse se valeva la pena spararsi 4 ore di autostrada e quasi 400 km A/R un mercoledì sera, con la prospettiva di dormire solo una manciata di ore prima di andare al lavoro, pur di vedere questo concerto, rispoderei: ASSOLUTAMENTE SI.

[Per chi non lo sapesse, stiamo parlando di una band storica del post-rock (vero), un collettivo di musicisti canadesi che con solo 3 album e un EP (un totale di 14 brani ma più di 4 ore di musica) tra il ’98 e il 2002, ha definito un genere musicale. Quando si sciolsero, pensai che non avrei mai più avuto una chance di sentirli live… ma fortunatamente mi sbagliavo]


Il concerto comincia in sordina, col pubblico che ancora chiacchiera e beve birra, mentre sul palco, coperto da innumerevoli strumenti e casse spia, salgono un paio di persone. Si chinano sugli strumenti, sembra che li stiano sistemando… e invece comincia un intro noiseggiante di chitarra e riverberi: ”Hope Drone”. Si aggiunge la violinista, così, di passaggio, mentre sullo sfondo compare un’enorme tremolante scritta HOPE.


Poi, un po’ alla volta, con grandissima calma, sul palco illuminato da pochi faretti rossastri, salgono tutti gli 8 componenti e il loro inserirsi nella musica porta a quel crescendo tipico dei GY!BE. E’ un’esplosione al rallentatore, il pubblico viene calamitato dal loro magnetismo. La gente si sposta sempre più verso il palco, tutti vorrebbero essere dentro quei suoni.
La batteria scandisce un ritmo quasi tribale, che risveglia istinti primordiali. Violino e violoncello cantano meglio di qualsiasi voce possibile. 6 corde che toccano corde profonde dell’anima. E il basso, per dio, non mi ero mai reso conto di quanto il basso fosse importante nei loro pezzi!

Lo capisci subito che sono musicisti veri. Nonostante i volumi e il luogo (un tendone), il suono è per-fet-to: sembra di ascoltare i loro cd in un impianto hi-fi. E’ possibile distinguere perfettamente ogni strumento, indipendente ma amalgamato, e ad ogni suono corrisponde un movimento del rispettivo musicista. In più di due ore di concerto non parleranno mai, si limiteranno a spostarsi da uno strumento all’altro, l’uomo come un mezzo per realizzare arte. Oltre alla musica, solo poche immagini e video scelti, proiettati sullo sfondo. Solo pura musica e, parafrasando gli Ornaments, “ai pensieri di ognuno la possibilità di essere testo”.

Il primo pezzo è infinito, credevo (speravo) che avrebbero avuto il coraggio di fare un concerto in un’unica tirata, senza pause, fregandosene degli applausi. Il secondo piatto: cembali e violino alle spezie mediorientali su sfondo di erbe e serpenti: “Albanian”, uno storico inedito. Il terzo pezzo è “Moya“. E qui perdo il controllo, mi fondo all’ondeggiare del pubblico.


Alla fine di Moya sono emotivamente esausto: da qui in poi perdo il senso del tempo.
“Gamelan”: pizzicato di violino ed echi di chitarre lisergiche in un crescendo di volumi e velocità… poi rallenta, i toni diventano cupi, la tonalità minore, si fa monotono e ossessivo.
Static“: Un predicatore parla “…because when you see the true face of god, you will die…”, accompagnato dal violino e da fiammelle rosse che compaiono sullo sfondo a tempo con la musica. Si aggiungono strumenti, fino a un finale epico e veloce. Dopo 20 minuti di musica siamo tutti molto scossi. Poi Storm, un paesaggio dipinto coi suoni.


L’apice della serata: “Sleep“. Il vecchietto ci parla di Coney Island e quando comincia la canzone vera sono già in estasi. Il violino è una sirena che mi ammalia, conosco il crescendo e so cosa mi aspetta… ma al momento dell’accelerata di batteria e chitarra ho provato lo stesso un orgasmo multiplo!
Ricordi confusi: credo abbiano fatto una parte di “Motherfucker=redeemer” e di “BBF3”. Sullo sfondo acqua, camion che scorrono, cumuli di auto rottamate, titoli di borsa, fiamme che divorano ogni cosa. Ricordo solo il finale. Un apocalittica “East Hastings“, con le fiamme che si espandono, poi di nuovo titoli di borsa mentre sulla sinistra si vedono strade e palazzi rosso sangue e una folla in marcia.

Una frase sullo sfondo mi è rimasta impressa: “The end is at hand”. Ora ho capito perché sono tornati: stanno scrivendo la colonna sonora per il tramonto del genere umano.
E vado a casa felice.

Alcuni commenti colti fra il pubblico:
“andiamo a prendere un vinile” “ma prima del concerto?” “perché, credi che dopo il concerto ne troviamo ancora?”
uno al telefono: “dovevi venire, dovevi venire! Cazzo senti qui” alza il telefono sopra la testa e passa mezz’ora così.
“oddio… ma è meraviglioso!”
“FATE SILENZIO! * BESTEMMIA * VOGLIO SENTIRE!”
“secondo te che vuol dire tutti quei numeri… il dow jones…la borsa”“che c’è crisi, no?”
“questi sono dei mostri”
“cristo si si è quello E’ QUELLO!”
ma soprattutto a un ragazzo in estasi in fianco a me scorrevano copiose lacrime sulle guance.
Serve aggiungere altro?